
Quando
il 5 Ottobbre 2017 Jodi Kantor e Megan Twohey hanno riportato sul New York
Times le testimonianze circa le presunte molestie che Harvey Weinstein avrebbe
commesso a danno di ben settantacinque donne, il velo d’ipocrisia che
proteggeva il produttore statunitense è stato finalmente squarciato. Tre
decenni di abusi non possono essere passati inosservati: Weinstein, infatti,
non è stato invisibile, ma semplicemente tollerato. Alle inchieste
giornalistiche si aggiungono anche le indagini della polizia di New York,
Londra e Los Angeles che ascoltano fatti sottovalutati al tramonto degli anni
’90 e durante il 2010, dimostrando forte inadeguatezza e poca credibilità. Il
produttore di origine ebraica è sempre stato noto per il rapporto promiscuo che
è solito avere con parte del cast a sua disposizione e per il suo temperamento
violento e burrascoso. Grande è la responsabilità di registi come Scorsese,
Tarantino e Tim Burton, che hanno dimostrato di tenere di più alla riuscita dei
loro progetti piuttosto che al modo in cui sono state prodotte le loro
pellicole. La società del presunto stupratore di 14 donne, “The Weinstein
Company”, ha curato film del calibro di Big
Eyes, di Tim Burton e di Gangs of New
York , che ha come regista Martin Scorsese. Lo stesso Tarantino ha
ultimamente ammesso di aver chiuso un occhio di fronte agli atteggiamenti e al
modo di lavorare di Harvey Weinstein, facendo capire quanto il mondo del cinema
sia moralmente responsabile anche delle azioni di uomini come Bill Cosby e
Dustin Hoffman, i quali hanno ammesso le loro colpe, a differenza di Weinstein,
attorno al quale si aggira ancora un alone di incertezza, in modo quasi
speculare al regista italiano Fausto Brizzi. Se a difesa di quest’ultimo si è
posta gran parte del Cinema romano, nessuno in patria ha cercato di fare, nel
merito della singola molestia, chiarezza sul caso del produttore statunitense.
Solo Woody Allen ha espresso preoccupazione su una possibile caccia alle
streghe, forse a causa dell’alone di ambiguità che lo circonda da tempo
immemore. La prima settimana del 2018 si apre, infatti, con lo scottante
articolo sul Washington Post di Richard Morgan che riapre la polemica sul
discutibile cinema di Allen, dando voce agli appunti di una vita del regista.
Da questi fogli, emergerebbe un lato misogino, a dir il vero mai celato, ma ciò
che, a detta di qualcuno, lo “smaschera”, sono gli estratti che
evidenzierebbero una poco nascosta “passione” per le ragazze minorenni.
Portando come testimone la filmografia del regista ed attore statunitense, i
suoi detrattori non possono altro che farla combaciare, oltre che con i suoi
appunti, con il presunto abuso subito sul set da parte dell’allora sedicenne
Mariel Hemingway. Al di là delle colpe e dei meriti di Woody Allen come regista
e come uomo, il fenomeno delle molestie nel mondo dello spettacolo non rischia
di scadere in una sterile caccia alle streghe? Occuparsi del caso in modo
imparziale e ponderato aiuterà le vittime degli abusi che si perpetrano
quotidianamente a denunciare subito l’accaduto, per dar maggior valore alla
propria vicenda. Asia Argento, denunciando pubblicamente i presunti soprusi
subiti, ha sì dato coraggio a tutti gli uomini e le donne che in passato non
hanno reagito ad una violenza sessuale, ma la storia da lei narrata, pur non
perdendo valenza morale, perde valenza legale, avendone parlato a vent’anni di
distanza. Denunciare subito alle autorità competenti la violenza subita,
favorisce la posizione della vittima sia legalmente, facendo trasparire
sicurezza sulla bontà delle proprie ragioni, sia aiuta a placare il profondo
disagio che si ingenera soltanto nelle persone che hanno realmente subito atti
di tale entità.
Luca Commisso, V A
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