mercoledì 24 gennaio 2018

Cittanova e la Guerra Servile: Spartaco in Aspromonte

La storia del territorio di Cittanova è molto più antica di quello che pensiamo: tra il 72 e il 71 a.C. fu teatro della guerra servile.
Un passo indietro: i piani di Spartaco
Dopo la ribellione, il progetto originario di Spartaco era quello di valicare le Alpi in modo che ognuno degli schiavi si mettesse in salvo; così non avvenne poiché un ingente gruppo di schiavi, guidati dal gladiatore Crixus, si abbandonò a saccheggi e violenze. Dopo diverse battaglie contro le truppe romane, Spartaco decise di discendere lungo la penisola, con l’obbiettivo di raggiungere la Sicilia con le navi che avrebbero dovuto mettere a disposizione i pirati cilici; ma i Cilici non si presentarono e i Romani riuscirono a “intrappolare” l’esercito servile presso la punta della Calabria. L’unica possibilità che si prospettò per Spartaco fu di forzare il blocco delle legioni e risalire verso nord. Lo scontro avvenne sul dossone della Melia, in Aspromonte.                                                                                                                                                                                                                                                      Durante la sua risalita, Spartaco sostò a lungo ai piani di Zervò, aiutato dalle popolazioni montane; contemporaneamente i Mamertini di località Mella (presso l’odierna Oppido) lo rifornirono di cavalli. La sosta durò abbastanza a lungo da esaurire ogni probabilità di ulteriore aiuto da parte delle popolazioni locali e da concedere ai Romani il tempo necessario per organizzare una spedizione militare contro Spartaco e creare una rete di fortificazioni nel luogo dove sarebbe avvenuto lo scontro.                                                                                                                                  Il comando delle legioni, formate quasi esclusivamente da Lucani, venne affidato a Marco Licinio Crasso, che si ipotizza avesse anche interessi personali nel bloccare l’esercito servile, in quanto ricco possidente di decine di migliaia di ettari di latifondo e migliaia di schiavi coltivatori nell’attuale Piana di Gioia Tauro, in parte già disboscata e mandata in coltura dopo la costruzione della Via Annia Popilia (132 a.C.).
Archeologia e territorio: le fortificazioni
Il dossone della Melìa costituisce il punto più stretto dell’Aspromonte, dal quale è possibile avere una visuale completa del versante tirrenico e di quello ionico: fu quello il luogo scelto per bloccare definitivamente Spartaco, che risaliva da Sud.                                                                                    Agli alleati Locresi viene affidato il presidio del versante orientale presso la fortificazione di Bracatorta, già utilizzata dalla polis in epoca magnogreca, in quanto si trovava accanto alla principale mulattiera che collegava Locri alla subcolonia Medma; tale presidio fu ulteriormente rafforzato mediante lo scavo, a ovest della fortificazione, di tre avvallamenti artificiali (i cosiddetti vadunati) ancora oggi osservabili sotto la faggeta dii Coculedi. Tali avvallamenti paralleli, muniti di pali aguzzi sul loro fondo, avevano la duplice funzione di proteggere il fronte locrese e di costringere i servili a dirigersi verso la grande fossa di Mortaro, anch’essa munita di pali, che avrebbe impedito la fuga verso nord-est; tale fossa era circondata da un muro a secco dotato di rampe di accesso ancora distinguibili. Questa struttura difensiva fu rafforzata da un ulteriore palizzata. A sud di Mortaro si estende un vasto piano di felci denominato Tonnara / Tinnaria, dove sicuramente Crasso aveva intenzione di spingere i servili verso la “mattanza”: la fossa sarebbe così diventata una camera mortuaria.
 Il fatto che potesse esistere una possibilità di fuga verso il versante ionico anche più a sud, poco dopo la timpa della donna, per mezzo della mulattiera che attraversa l’attuale Antonimina, induce a pensare che anche in questa zona potessero trovarsi importanti presidi militari, dei quali ancora non è stata rinvenuta alcuna traccia archeologica.
Sul versante occidentale furono, però, costruite le maggiori fortificazioni: in località Palazzo emergono i resti di una caserma con funzione di controllo in caso di eventuali sortite dei ribelli da Cucurucà attraverso le scarpate del torrente Lo Stretto. L’accesso alla fortezza venne bloccato da un triplice avvallamento, continuazione di quello di Bracatorta, probabilmente munito di ponti levatoi verso i quali si dirigeva una strada in basolato ancora visibile, la quale doveva costituire uno dei diverticoli della Via Grande citata in molti documenti di XVII e XVIII secolo.
In località Marco è stata rinvenuta una struttura identificata come forno di fusione del piombo con il quale venivano realizzati i proiettili per i frombolieri, data la presenza di letargirio (il vapore rappreso del piombo in fusione) sulle pareti interne; altre stutture simili sono state rinvenute a Mortaru e a Padduni, nonché presso la faggeta di santu Trabissu.
Il versante occidentale risultava essere quello più protetto e presidiato non solo per  le fortificazioni sul piano della Melìa, ma anche per quanto concerne i presidi posti su tutti i sentieri che dalla dorsale conducevano all’odierna Piana di Gioia Tauro (e ciò la dice lunga sugli interessi che i Romani avevano nella zona), come quelli tra i fiumi Serra e Marro e presso il fiume Vacale; i sentieri di collegamento furono bloccati sia su piano Melìa presso le discese da Santu Trabissu, Passo del Mercante e Scarpa della Pietra, sia ai punti di sbocco in pianura presso Campiccciolo, Santa Maria della Catena (posta sull’attuale via del cimitero di Cittanova, che costituiva il punto d’arrivo della mulattiera che partiva dal passo del Mercante) e Scroforio. Spesso sono anche i toponimi a essere d’aiuto nell’ambito delle ricerche effettuate sul territorio, come nel caso di Scroforio, che si rifà a Scrofa, luogotenente di M. Licinio Crasso durante la guerra servile, o del nome Marco, che senza dubbio si riferisce al celebre comandante; ma anche toponimi come Palazzo richiamano alla mente la presenza di antiche fortificazioni, rimaste nella memoria collettiva degli abitanti di quei luoghi. Per esempio il fatto che nella Piana di Gioia Tauro ricorrano numerose località denominate Torre o Torretta, che si succedono sempre più o meno alla stessa distanza, seguendo sempre la stessa direzione, verso le campagne di Crasso (odierno Grasso) e Benevento nella bassa pianura di Polistena, costituisce un’ulteriore traccia di una rete di torri di avvistamento.
Lo scontro in Aspromonte
Spartaco e il suo esercito vennero imbottigliati sul piano di Melìa, senza alcuna possibilità di ricevere aiuto, in quanto la loro alleata Mamerto era stata distrutta da Scrofa per ritorsione ai Mamertini che avevano dato pieno appoggio ai ribelli. Lo scontro avvenne in inverno, e sulla dorsale nevicava.
Nonostante gli attacchi incrociati di arcieri e frombolieri, i servili tentarono di colmare la fossa di Mortaro, e ci riuscirono nella parte orientale, dove i lavori non erano stati completati a causa della presenza di rocce, riempiendola con cadaveri di uomini e animali, con tronchi d’albero e terra, in modo da consentire a Spartaco e a un terzo dei suoi uomini di attraversarla.
La vicenda si concluderà, quindi, altrove; ma cosa accadde ai restanti due terzi dell’esercito di Spartaco? Il nome della località Mortaro sembra rimandare a un luogo di seppellimento, come indicherebbe la stipe votiva funeraria ivi rinvenuta, quando, circa settant’anni fa, fu impiantata la pineta. Probabilmente la vicenda di Melìa si concluse con uno sterminio, conoscendo la crudeltà di Crasso e le maniere sbrigative dell’esercito romano. Forse non saremo mai in grado di dirlo con precisione.
Intanto, tra i faggi, sembra quasi rivedere i soldati di Spartaco muoversi con cautela, affidare le loro speranze di libertà anche alle nostre montagne...



Bibliografia
Domenico Raso, Zomaro – La montagna dei sette popoli, Laruffa Editore;
Domenico Raso, Tinnaria, antiche opere militari sullo Zomaro, in “Calabria sconosciuta” n. 37;
Rossella Agostino e Maria Maddalena Sica, Archeologia e paesaggi dal Porthmòs alla Sila silva Tauricana, Laruffa Editore;
Plutarco, Vite parallele.
Ricerca a cura di Nicoletta Anastasia Deni, IV A

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