Sono passati ormai più di 70 anni dalla fine
della seconda guerra mondiale, il conflitto che ha visto coinvolte decine di Stati
e che ha portato alla morte di più di 62 milioni di persone. In questa intervista
ho deciso di raccontare la Seconda Guerra mondiale da tre diversi punti di
vista: quello di un bambino indifeso che fugge dai bombardamenti, quello di un
disertore che ha lasciato la battaglia per tornare dalla sua famiglia e quello
di un soldato catturato e deportato in un campo di prigionia austriaco.
Iniziamo da Benito. Lui era solo un bambino
quando gli aerei americani bombardarono Cittanova, lasciando lui e la sua
famiglia in mezzo alla strada.
"Erano le 4 di notte del 20 febbraio 1943. Io avevo solo 7 anni.
Ero a casa con i miei genitori ed i miei fratelli. Ad un certo punto della
notte sentimmo un forte rombo. Uscimmo tutti di casa per cercare di capire cosa
stesse succedendo: degli aerei stavano bombardando il paese. Scappammo in un
orto fuori città, pensando che gli aerei avrebbero bombardato solo il centro.
Quando le esplosioni cessarono andammo via dall'orto per poi rifugiarci in un
capanno che stava in campagna. Restammo in quel capanno insieme ad altre 40
persone per ben tre mesi, per paura che i bombardamenti ricominciassero. A
maggio tornammo finalmente a casa nostra e ricevemmo una notizia: gli aerei che
avevano bombardato il paese erano americani. I generali che ordinarono
l'attacco pensavano che i nazisti avessero occupato un capanno in paese per
usarlo come quartier generale. Ironicamente, il capanno che venne bombardato
dagli americani era in realtà un circo equestre".
Ora è il turno della storia di Francesco, un soldato che, insieme a tre
suoi commilitoni, ha lasciato il resto del suo battaglione per ritornare a
casa.
"Era il 1943. Io e i miei compagni di reggimento eravamo a Cosenza
e stavamo aspettando il treno che ci avrebbe portati in Germania. Io e altri
miei compagni eravamo di Sinopoli e, prevedendo che il nostro reggimento non
sarebbe sopravvissuto, organizzammo la nostra fuga verso casa in gran segreto.
Durante la notte scappammo dal nostro accampamento e ci mettemmo in marcia
verso Rosarno. Dopo svariati giorni di cammino arrivammo a Tropea, dove fummo
avvistati da un aereo americano. Ad un tratto la plancia dell'aereo si aprì ed
una bomba iniziò a cadere verso di noi. Ci buttammo in una buca per metterci al
riparo. La bomba cadde. Il suono fu assordante. Una montagna di terra alzata
dall'esplosione ci cadde addosso. Dopo esserci ripresi ci mettemmo di nuovo in
marcia. Arrivati a Rosarno prendemmo un treno diretto a Gioia Tauro. Prendemmo
il treno la sera, speranzosi di arrivare presto a Gioia. Non fu così. Passammo
la notte sul treno che si muoveva lentamente, mentre gli aerei nemici ci
sparavano addosso. Il mattino dopo arrivammo a Gioia Tauro, dove un altro aereo
ci sparò contro. Ci fingemmo morti e l'aereo andò via. Ci rimettemmo a
camminare verso Sinopoli e, dopo un altro giorno di marcia, arrivammo
finalmente a casa. Dopo qualche mese mi giunse notizia che il resto del mio battaglione,
ovvero tutti i soldati arrivati al fronte, era stato catturato e giustiziato".
Adesso è il momento della storia di Domenico, soldato catturato al
fronte e deportato in un campo di prigionia.
"Correva l'anno 1944. Delle truppe austriache stavano attaccando
l'accampamento in cui io ed il mio plotone eravamo stanziati. Mentre sparavo ai
soldati davanti a me sentii una voce che diceva in austriaco -Arrendetevi!-. Mi
girai di scatto e vidi dei soldati che ci puntavano i loro fucili contro.
Provai a sparare, ma un soldato nemico mi diede un calcio e mi buttò a terra. I
suoi compagni fecero lo stesso con i miei. Ci caricarono su un camion e ci
portarono in un campo di prigionia. Ci tennero lì dentro a fare lavori pesanti
per diversi mesi. Pensammo diverse volte di fuggire, ma ogni nostro piano era
irrealizzabile. Dopo cinque o sei tentativi rinunciammo alla fuga e ci
rassegnammo. Non sapevamo più cosa fare. Dopo cinque mesi di prigionia
arrivarono le truppe degli alleati. Attaccarono il campo sparando
all'impazzata. Quando uccisero gli ultimi soldati nemici ci liberarono. Non mi
sembrava vero, eppure lo era: potevo finalmente tornare a casa.".
Francesco
Panuccio, I A
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