Intervista a Gaetano Deni, detenuto nel campo di concentramento di Zimmerman
Gaetano Deni combatté durante la Seconda Guerra Mondiale e fu proprio l'appartenere all'esercito italiano la causa della sua deportazione nei campi di concentramento. Abbiamo raccolto la sua testimonianza
sulla tragedia dell’ Olocausto.
“Nel
1937 fui chiamato alla leva”, racconta; “venni assegnato all'aeronautica militare e mi trasferii a Roma. Fui mandato in Albania, nella cittadina di
Progradec, con la X Compagnia”.
Signor Deni, lei fu fatto prigioniero dopo l’armistizio
dell’8 settembre. Le aspettative dei soldati erano però diverse…
Alla notizia dell’armistizio noi sussultammo di gioia. “Finalmente possiamo tornare alle nostre case dalle nostre famiglie”, fu la nostra prima reazione; ma fu una vaga illusione, il peggio venne dopo.
Alla notizia dell’armistizio noi sussultammo di gioia. “Finalmente possiamo tornare alle nostre case dalle nostre famiglie”, fu la nostra prima reazione; ma fu una vaga illusione, il peggio venne dopo.
Quella sera furono tagliate tutte le line telefoniche, impedendoci di ricevere ordini. In questo caos i Tedeschi ci fecero raggiungere Coriza; lì fummo bloccati dai soldati e venimmo disarmati; ci fu tolta ogni cosa: mi sottrassero delle monete italiane e albanesi e persino un orologio da polso regalatomi da mio padre.
E seguì la deportazione: come fu il viaggio verso la Germania?
Ci fecero salire a spintoni sui carri ferroviari, che furono chiusi dall'esterno. Per cinque giorni non ci fu dato niente da mangiare: alle fermate i vagoni venivano circondati da civili che offrivano pane in cambio di vestiti e alcuni soldati si spogliarono di tutto. Ricordo di aver domandato al Capitano della mia compagnia Giuseppe De Stefano, originario di Catania, perché non ci davano qualcosa da mangiare e lui mi rispose: “Figlio mio forse dopodomani arriveremo a Budapest e ci daranno qualche cosa”. A Budapest ci diedero solo un pezzetto di pane e un mestolo di brodaglia gialla a base di ceci.
Ci fecero salire a spintoni sui carri ferroviari, che furono chiusi dall'esterno. Per cinque giorni non ci fu dato niente da mangiare: alle fermate i vagoni venivano circondati da civili che offrivano pane in cambio di vestiti e alcuni soldati si spogliarono di tutto. Ricordo di aver domandato al Capitano della mia compagnia Giuseppe De Stefano, originario di Catania, perché non ci davano qualcosa da mangiare e lui mi rispose: “Figlio mio forse dopodomani arriveremo a Budapest e ci daranno qualche cosa”. A Budapest ci diedero solo un pezzetto di pane e un mestolo di brodaglia gialla a base di ceci.
Il treno vi portò in Germania; lì cosa accadde?
Dopo aver trascorso una notte su un prato innevato circondato da filo spinato,ci portarono in una caserma tedesca,dove il nostro nome fu sostituito da un numero:il mio era 02770.Ho perso il mio nome: venivo chiamato solamente con queste cinque cifre nei mesi della mia prigionia.Poi un ufficiale Tedesco ci diede tre possibilità:
Dopo aver trascorso una notte su un prato innevato circondato da filo spinato,ci portarono in una caserma tedesca,dove il nostro nome fu sostituito da un numero:il mio era 02770.Ho perso il mio nome: venivo chiamato solamente con queste cinque cifre nei mesi della mia prigionia.Poi un ufficiale Tedesco ci diede tre possibilità:
1) diventare ausiliari dell’esercito Tedesco;
2) diventare collaboratori della Germania;
3) restare come prigionieri di guerra;
2) diventare collaboratori della Germania;
3) restare come prigionieri di guerra;
E lei quale opzione scelse?
La terza! Fui mandato assieme ad altri soldati,nel campo di lavoro di Zimmerman; fummo sottoposti a fatiche disumane. Era nosro compito anche riparare le infrastrutture colpite dai bombardamenti e non avevamo neppure scarpe, se non zoccoli di legno di tipo olandese, che provocavano le piaghe ai piedi.
La terza! Fui mandato assieme ad altri soldati,nel campo di lavoro di Zimmerman; fummo sottoposti a fatiche disumane. Era nosro compito anche riparare le infrastrutture colpite dai bombardamenti e non avevamo neppure scarpe, se non zoccoli di legno di tipo olandese, che provocavano le piaghe ai piedi.
Ricorda qualche episodio in particolare del periodo
della deportazione?
Soffrivamo tutti molto la fame: un giorno colpii un cagnolino con un mattone per prendere un pezzo di pane che quello stringeva in bocca. Ricordo, poi, di quando trovai un pezzo di pane ammuffito: tolsi la muffa e quella divenne per me una felice giornata. Ma erano grandi anche le umiliazioni: un uomo di quasi cinquant’anni fu spinto in un fossato da due tedeschi e si mise a piangere, non per il dolore , ma per l’umiliazione subita.
Soffrivamo tutti molto la fame: un giorno colpii un cagnolino con un mattone per prendere un pezzo di pane che quello stringeva in bocca. Ricordo, poi, di quando trovai un pezzo di pane ammuffito: tolsi la muffa e quella divenne per me una felice giornata. Ma erano grandi anche le umiliazioni: un uomo di quasi cinquant’anni fu spinto in un fossato da due tedeschi e si mise a piangere, non per il dolore , ma per l’umiliazione subita.
Qual era il suo sentimento nei confronti di
chi la maltrattava?
Quando siamo stati liberati ho avuto la possibilità di uccidere il soldato che più di tutti mi aveva maltrattato in quell'anno e mezzo di prigionia. Ma non l’ho fatto; mi implorava pietà mostrandomi le foto della sua famiglia. Sa, ho anche difeso delle donne tedesche: se non fosse stato per me sarebbero state violentate e, forse anche uccise dalle truppe marocchine degli Alleati.
Quando siamo stati liberati ho avuto la possibilità di uccidere il soldato che più di tutti mi aveva maltrattato in quell'anno e mezzo di prigionia. Ma non l’ho fatto; mi implorava pietà mostrandomi le foto della sua famiglia. Sa, ho anche difeso delle donne tedesche: se non fosse stato per me sarebbero state violentate e, forse anche uccise dalle truppe marocchine degli Alleati.
Che cosa significa per lei ricordare quei
giorni di prigionia?
Significa tornare con la mente a quelle sofferenze, e non è facile per me.Ma è comunque necessario, perché le nuove generazioni conoscano ciò ed evitino di commettere gli stessi orrori!
Significa tornare con la mente a quelle sofferenze, e non è facile per me.Ma è comunque necessario, perché le nuove generazioni conoscano ciò ed evitino di commettere gli stessi orrori!
Nicoletta Anastasia Deni
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