lunedì 8 febbraio 2016

La banalità del male

Protagonisti del Novecento sono stati eventi che hanno lasciato una ferita nella Storia dell’umanità che probabilmente non potrà mai rimarginarsi: emblema di questo apice di violenze è l’Olocausto ebraico, che si consumò durante la Seconda Guerra Mondiale. Quale la ragione di ciò? Una folle ideologia razzista che, già nella seconda metà del XIX secolo, aveva trovato fantomatiche conferme scientifiche con lo studio dell’eugenetica, nata grazie a Francis Galton, che si chiedeva come fosse possibile eliminare “gli inferiori” per migliorare la specie. Questo principio si può sintetizzare con la parola “Ausmerzen”: si tratta di un termine che appartiene al linguaggio dei pastori e indica la soppressione dei capi di bestiame troppo deboli, prima della transumanza; ne fu data una spiegazione scientifico-sociale nel libro “Il permesso di annientare vite indegne di essere vissute”, di Alfred Hoche e Karl Binding, pubblicato nel 1920. Fu da qui che iniziò la soppressione del debole, di chi si pensava avrebbe potuto danneggiare la Germania (e tutte le nazioni che la appoggiavano) dal punto di vista della purezza della razza e (soprattutto) dal punto di vista economico.                                                                                          

Ma com’è possibile che quasi un’intera nazione si compiacesse di ciò? La dittatura di Hitler trovò terreno fertile nella situazione economica succeduta all’inflazione del 1923 e alla depressione seguita alla crisi del 1929: questi eventi avevano impoverito i piccolo-borghesi e reso ancora più povero il ceto basso; gli bastò trasformare questi milioni di Tedeschi in massa per ottenere il consenso di cui necessitava. Perché questo? Perché egli stesso sosteneva che le masse sono suggestionabili e si lasciano prendere dall’ira, dal panico, dall’entusiasmo; il loro comportamento è determinato dall’esperienza immediata e da sentimenti inconsci: manipolando tali sentimenti è possibile giungere al potere. “Chi vuol conquistare le masse deve conoscere la chiave che aprirà la porta dei loro cuori”, perché “essere un capo significa saper muovere le masse”. Come raggiunse questo obbiettivo? La risposta ci viene fornita dalle  tecnologie che si andavano sviluppando nel XX secolo: le due guerre mondiali furono, più di ogni altra vicenda bellica della storia, guerre di propaganda, e grazie alla radio, agli altoparlanti, alle pubblicità,al cinema, la propaganda trovò aperte le porte delle case di ogni tedesco, togliendo il pensiero autonomo ai cittadini, trasformando ogni individuo in una parte della folla. Secondo Aldous Huxley l’individuo è vittima della folla: a causa di essa subisce l’avvelenamento da gregge, diventa parte della massa, di cui Hitler studiò a fondo i comportamenti, comprendendo come agire, quando parlare e cosa dire: scrisse che per convincerla si devono individuare “poche e semplici necessità, e quindi esprimerle in poche formule stereotipate”, che devono essere ripetute continuamente, perché “solo la ripetizione costante riuscirà alla fine a imprimere un concetto nella memoria della folla”, concetto che non poteva essere smentito da nessuno: se ci fosse stato un avversario sarebbe stato aggredito, perché le masse avrebbero sempre dato ragione all’aggressore. Catturato il cuore delle masse, irregimentatele, indottrinatole, il consenso cadde direttamente nelle mani di Hitler, come se fossero state sottoposte a un vero e proprio lavaggio del cervello. Secondo la filosofa Hannah Arendt, infatti, il male è banale perché non occorrono menti cattive per commetterlo: è necessario essere stati educati a sovvertire i valori , scambiando la giustizia con l’ingiustizia; così, come le pubblicità convincono ad acquistare i loro prodotti, allo stesso modo, il popolo tedesco fu convinto che la dittatura nazista e la Seconda Guerra Mondiale fossero l’unico modo possibile per uscire dalla crisi; i suoi valori furono sovvertiti, scambiò il male per il bene. Fu così che Hitler riuscì nella sua folle e sistematica eliminazione del “debole”, convincendo i tedeschi che ciò avrebbe portato giovamento all’economia nazionale, e questo è dimostrato dalla presenza di un’orribile lista rinvenuta in un armadio di uno dei centri di sterminio dell’Aktion T4 (centri che si sarebbero dovuti occupare di curare i bambini malati e  che prendevano il nome dalla sede di Berlino, presso Tiergartenstrasse n. 4). Essa recava scritto il calcolo di quanti  Reichsmark e quanti Kg di alimenti si erano risparmiati grazie all’eliminazione dei pazienti fino al 1° settembre 1941. Come se la vita umana avesse un prezzo.                            
Ma chi erano gli “Ausmerzen” eliminando i quali il popolo tedesco avrebbe potuto risollevarsi? Non solo gli Ebrei, contro cui ci fu comunque un accanimento superiore, ma anche omosessuali, alcolisti, vagabondi, prelati, testimoni di Geova, oppositori politici, zingari, portatori di handicap, furono destinati alla morte dalla follia nazista, che progettò campi di concentramento nei quali deportarli; i lager non dovevano essere dei centri rieducativi né dei luoghi in cui scontare colpe, ma dei pozzi profondi nei quali i prigionieri erano destinati a precipitare, per non riemergere più. Hitler stesso disse: «Aggrediremo i nostri avversari con brutale efficacia e non esiteremo a piegarli agli interessi della nazione mediante i campi di concentramento».                                                                                           
Campi che sorsero, non solo in Germania, già a partire dal 1933, e che furono attivi per anni: i centri di sterminio di Aktion T4 rimasero funzionanti anche (e incredibilmente) dopo la fine della guerra. La vita nei campi di concentramento era orrenda, scandita dalla fame, dal freddo, dalle malattie infettive, dal durissimo lavoro, dalle violenze inaudite; già la deportazione lasciava presagire (seppur solo in parte) che la vita stava per finire, nel vero senso della parola o solo psicologicamente per i più fortunati: i prigionieri erano costretti a viaggiare nei carri bestiame, stipati come merce, l’uno contro l’altro, fino a 150 su un unico vagone, su cui viaggiare per giorni, senza acqua, né cibo, avvolti dal nauseabondo fetore dei loro stessi escrementi. Molti morivano prima ancora che il viaggio terminasse.                                                                 
 Il più terribile dei lager era Auschwitz: nessuno conosce con precisione il numero di persone che ivi trovarono la morte: soltanto il comandante Rudolf Hoss (che lo progettò insieme a Himmler) si attribuì l’uccisione di 2.500.000 persone; nel momento di massima attività, ogni giorno 15.000 persone passavano per i camini dei forni crematori di Auschwitz. Questo, infatti, non era un semplice campo di concentramento: era un vernichtungslager, un campo di sterminio; vernichtung   è una parola orribile: significa annientare, ridurre al nulla. Infatti gli Ebrei del primo convoglio che giunse lì, il 12 maggio 1942, furono portati direttamente alla morte, nelle camere a gas. Tutto questo sembra un orribile incubo, dal quale purtroppo non si svegliarono mai 11.000.000 di persone (stimate per difetto).
Anche gli italiani furono complici di ciò: la promulgazione delle leggi razziali fu accettata da tutto il popolo, da tutti gli intellettuali, senza opporre resistenza, e a causa di esse migliaia di Ebrei italiani furono deportati (soprattutto ad Auschwitz); tornarono in pochissimi. In Italia fu addirittura attivo un campo di sterminio presso la risiera di San Saba, a Trieste.
Eppure sembra che al peggio non ci sia mai fine, come se avesse davvero ragione Biante, come se la maggioranza degli uomini fosse cattiva: l’Olocausto Ebraico non fu l’unico genocidio della storia: lo precedettero il genocidio degli Armeni e lo sterminio degli Indiani d’America; lo seguirono, negli anni ’90 del ‘Novecento, quello operato dai Serbi contro i Bosniaci, senza dimenticare le persecuzioni a sfondo etnico avvenute fuori dall’ Europa, come quella in Ruanda.
Adesso tocca a noi , nuove generazioni, a impedire che il filo spinato venga innalzato di nuovo, dobbiamo essere noi a scrivere una nuova storia, fatta di pacifiche convivenze. Ma per fare ciò è necessario prima di tutto ricordare, perché, come disse Primo Levi, “Nega Auschwitz chi sarebbe pronto a rifarlo”.

Nicoletta Anastasia Deni

3 commenti:

  1. Trovo questo articolo infinitamente interessante. In maggior misura la parte in cui l'autrice dell'articolo descrive il processo di conquista masse secondo le teorie Aldous Huxley "l’individuo è vittima della folla: a causa di essa subisce l’avvelenamento da gregge, diventa parte della massa".Hitler studiò a fondo i comportamenti, le necessità e capì come agire. Ancora oggi -in molti- hanno compreso questa strategia, purtroppo, e quando s'ignorano le numerose vittime delle guerre, come quella in Siria, quando s'ignorano le cause vuol dire che abbiamo già subito l'avvelenamento da gregge.

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  2. Articolo bellissimo e riccamente documentato, complimenti!
    Sono - ahimé - convinto che alcuni punti dell'autrice si
    possano facilmente sovrapporre alla realtà delle masse
    odierne, anche se articoli come questo fanno sperare
    in un futuro di giovani consapevoli ed informati.
    Grazie!

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