Il viaggio della regina dell’Ade da Locri a Berlino, una dea trafugata e un
rinvenimento taciuto per 61 anni
In una delle sale del Friedrichmuseum di Berlino, una donna,
dalla figura imponente, siede in trono. E’, però, una “donna in marmo pario”
che, nonostante ciò, come scrisse Corrado Alvaro, “incute terrore e reverenza”,
perché gli artisti del V secolo a. C. che la realizzarono, avevano intenzione
di dare a quella donna il volto di una dea e, più precisamente, il volto di
Persefone.
Una scultura bellissima, imponente,
vestita di un peplo riccamente panneggiato, dai capelli finemente lavorati,
come fossero boccoli reali, accanto alla quale osserviamo la scritta “Persefone
da Taranto”. Ed effettivamente, si ebbero per la prima volta notizie della
scultura nel momento in cui venne venduta a Taranto; da allora passò “di mano
in mano”, attraversando l’Europa, dall’Italia alla Francia, alla Svizzera, fino
a giungere nelle sale del museo berlinese, il 16 dicembre 1915, più di un
secolo fa.
Ma i conti non tornano. E non
potrebbe essere altrimenti, perché a Taranto non è mai stato attestato il culto
di Persefone, e di certo la statua non poteva essere destinata a nient’altro se
non ad un importante e imponente santuario in cui si officiasse il culto della
regina dell’Ade. E il più noto Persephoneion
del mondo greco, quello che Diodoro Siculo definì “il più celebre dei
santuari dell’Italia” si trovava a Locri Epizephiri, probabilmente in contrada
Mannella, ma alcuni studiosi ipotizzano che non sia ancora stato rinvenuto. Ed
è a Locri Epizephiri che ha inizio la storia della Persefone di marmo.
Siamo nel 1905, e nella vigna di
proprietà di Vincenzo Scannapieco, viene casualmente rinvenuta “un’enorme
statua” che viene inizialmente nascosta
in un frantoio per poi essere venduta, nel 1911 a un tedesco; la scultura viene
quindi trasportata clandestinamente verso Gioiosa Marina e ivi imbarcata alla volta
di Taranto, ma si verrà a conoscenza di tutto ciò soltanto nel 1966. Per 61 anni, l’uomo che materialmente aveva rinvenuto Persefone, che per
primo dopo quasi due millenni aveva rivisto il suo volto, aveva taciuto,
mantenendo il giuramento fatto a Scannapieco di non raccontare mai a nessuno
del rinvenimento; e probabilmente non avrebbe mai parlato senza le insistenze
di Gaudio Incorpora, e senza che il sacerdote Don Giuseppe Giovinazzo, lo
avesse sciolto dal giuramento.
Eppure, non solo oggi la Calabria
attende invano il ritorno di una dea trafugata, ma i tarantini iniziano a
rivendicare la provenienza pugliese della statua.
E intanto, in quella sala del museo
berlinese, troneggiano ancora le parole da Taranto e viene negato ai Locresi la paternità di
quel culto (noto in tutta la Grecia e in tutta la Magna Grecia) a una dea
destinata a essere rapita per due volte: prima nel mito, poi nella realtà.
Nicoletta Anastasia Deni
0 commenti:
Posta un commento