Mi
dissero che è dove mi porta il vento che devo andare, sempre dove mi
porta il vento.
Era
difficile seguirlo anche se così leggero aveva successo nel
distruggere i diavoletti che spuntavano sulle spalle.
Il
vento conduceva a me, mi acciuffava in un angolo e mi stritolava,
quasi come una sorta di mancanza che andava a rimpiazzare.
Sono
una delle persone meno adatte per condividere dell’aria con le
altre, con il sole che sbatte in fronte e gli occhi troppo piccoli
per riuscire ad aprirli.
Così
dal momento che la realtà mi concedeva solo gli angoli, azzardai
nel vivere in un mondo parallelo.
Qui
guardo mentre dormo, parlo con le labbra serrate, quasi come un
ventriloquo che non si fa scoprire, sento solo quando passa il tram,
respiro ogni volta che il mio cuore in quella frazione si arresta.
Vivo
su foglie secche dove il colore riesce a mimetizzarsi con quello
della mia ombra.
Non
esiste la cognizione del tempo, non ci sono elenchi, suppliche o
richieste, solo sfumature di colore, e a volte qualche ricordo mi
balza davanti e fa cenno se può andar via.
Non
condiziona Dio, il destino e la paura ma grandi girasoli che non si
chiudono di notte e determinano la felicità in base alla loro
prospettiva.
Qui
non muore mai nulla, invece quel campo riusciva a sotterrarmi in
media tre volte al giorno.
Siamo
troppo complicati, impotenti e stracolmi di superstizioni per essere
semplici umani.
Solo
serrando gli occhi, capirete come la banalità nell’immaginazione
prende vita. E la realtà? Beh, quella è tutta un’altra storia.
Ilaria
Mezzatesta
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