giovedì 9 giugno 2016

Con gli occhi di Clitennestra: l’altro volto del dramma


La Corte stia in silenzio: adesso parla Clitennestra. La rivisitazione di Marguerite Yourcenar del dramma (riadattata nella rappresentazione portata in scena da Paolo Cutuli al cine-teatro Gentile per i licei classico e artistico di Cittanova) vuole mostrare la tragedia dal punto di vista della donna, per lungo tempo vista come causa del dramma stesso. Eppure Clitennestra continua ad uscire sconfitta da questa rappresentazione. Divenuta protagonista, ha la possibilità di narrare la propria versione dei fatti, ma il suo comportamento e l’uccisione di Agamennone rimangono ingiustificabili per un semplice motivo: la donna ne è profondamente innamorata. La rappresentazione si consuma in un amore dato ma non ricambiato, per una fiamma che, se da un lato si spegne nel marito, dall’altro continua ad ardere nella moglie, nonostante tutto. Vengono, infatti, tralasciati (volutamente?) i tragici antefatti, come se la sua sola sofferenza sia stata il sentirsi trascurata dal marito nel corso degli anni trascorsi a combattere sotto le mura di Troia. Come se provasse amore per l’assassino dei suoi figli, come se il suo più grande dolore fosse la gelosia, dovuta alle concubine del comandante, di cui si sente molto parlare.
L’attore che impersona la protagonista ha un cuore dipinto sul petto: quando Clitennestra inizia a sentirsi trascurata, lo cancella. Non essendo più amata, non si comporta più come una donna ma porta a termine le occupazioni che erano del marito, guarda persino le ancelle con gli occhi di quell’uomo. E’ come se si volesse trasmettere che una donna perde la propria femminilità, se smette di essere amata (benché lei continui ad amare Agamennone: si immedesima in lui per sopperire alla sua assenza). Come se l’essere donna dipendesse dalle attenzioni di un uomo.
E, infine, arriva Egisto. Egli viene dipinto non come un uomo, ma come un ragazzo inesperto, amato da Clitennestra tanto quanto Agamennone avrebbe potuto amare una delle sue concubine, ma da lei trattato alla stregua di un bambino, di un figlio. Ma per questo amore di poca importanza riappare un cuore disegnato sul petto della protagonista. Eppure Egisto le fa capire quanto Agamennone sia insostituibile. Quanto sia insostituibile un uomo che le ha dato solo dolore. Quale messaggio dovrebbe arrivare alla platea (prevalentemente femminile)? Che si deve continuare ad amare, nonostante tutto? Questo non è amore.
Quando si annuncia la vittoria dei Greci e Agamennone si accinge a fare ritorno a Micene, Clitennestra sembra pronta ad accoglierlo e ad amarlo, liberandosi di Egisto. Ma si accorge di non essere più bella come un tempo, comprendendo che il marito non potrà ricambiare il suo amore; desidera, quindi, la morte per mano di quell’uomo, perché in questo modo riceverebbe da lui delle attenzioni; ed è per lo stesso motivo che lo uccide (infatti, in questa rivisitazione è il ruolo di Egisto a essere marginale), per incrociarne lo sguardo, perché sia costretto a guardarla negli occhi. C’è, infine, una certezza: Clitennestra incontrerà di nuovo Agamennone, nell’Ade, perché l’amore è inseparabile. Anche quando è imposto? Anche quando viene subito? Anche quando (come è sicuramente accaduto alla Clitennesta originale) non è amore?


Nicoletta Anastasia Deni

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