venerdì 29 aprile 2016

Sibari: resoconto della visita

Nel 510 a. C., presso il fiume Trionto, vicino Rossano, si consumò uno tra i più celebri scontri tra le colonie greche in Calabria, quello tra Σύβαρις e Κρότων, nonostante le due poleis fossero precedentemente state alleate. Per i Crotoniati non fu sufficiente la semplice vittoria: vollero che la ricca Sibari sparisse e ciò avvenne grazie a uno dei più insigni abitanti di Crotone, Pitagora, che arrivò a deviare il corso del fiume Crati sulla fiorente polis greca. Probabilmente i vincitori di allora non immaginavano le successive ricostruzioni di Thurii e di Copia sullo stesso luogo in cui sorgeva Sibari, seppur con dimensioni di gran lunga ridotte; ma, soprattutto, essi non avrebbero mai potuto pensare che lo splendore per il quale la loro avversaria era passata alla storia sarebbe tornato alla luce dopo migliaia di anni…
Così, dopo più di 2500 anni dallo storico scontro, un gruppo di studenti del liceo classico “Vincenzo Gerace” di Cittanova ha potuto godere della vista di ciò che i Crotoniati credevano di aver distrutto, ovvero di quell’antico splendore che oggi riverbera nelle moderne sale del Museo Archeologico della Sibaritide. Ad accompagnare alunni e docenti, le guide del Gruppo Archeologico del Pollino, in un percorso indietro nella storia, a partire dai reperti antecedenti l’arrivo dei colonizzatori ellenici. Le prime teche sono infatti dedicate agli Enotri, eccellenti produttori di vino, le cui testimonianze sono giunte fino a noi grazie ai manufatti rinvenuti nelle sepolture. Essi raccontano di un alto grado di civilizzazione: ne sono esempio le fibbie raffiguranti una coppia composta da un uomo e una donna di pari altezza, indice dell’uguale importanza attribuita dagli Enotri ai due sessi. Un Passato che continua a insegnare…
Quale donna avrà indossato la fibbia e la collana d’ambra rinvenuta assieme ad essa? A quale importante comandante apparteneva quella spada, custodita in una delle sale? Era forse una sacerdotessa la donna sepolta assieme a un ricco corredo di pendenti e vistosi bracciali rinvenuti nell’odierna Francavilla? Ciascuno degli oggetti custoditi in un museo racconta una vita diversa, cui spesso la storia ha tristemente posto fine… E’ questo il caso della tomba di una bambina: sepolte accanto a lei sono state rinvenute la piccola statua di una divinità femminile e uno scarabeo, quasi dei portafortuna nella speranza che la sua vita continuasse.
Ma la cultura degli Enotri fu presto assimilata da quella dei Greci, che godettero della prosperità di una pianura situata tra due fiumi, a cui alluderebbe lo stesso simbolo di Sibari, un toro con la testa volta indietro, come se, trovandosi di fronte a un fiume, si voltasse per scorgere l’altro.
Le ceramiche corinzie e attiche; i vasi a figure rosse su sfondo nero completamente intatti, belli come se fossero appena usciti dalle mani di un artigiano; le monete e le offerte votive; gli oggetti in bronzo e in vetro; le sculture di età romana che adornavano il teatro: dagli oggetti della quotidianità, dalle spiegazioni degli archeologi l’illustre città sembra riprendere vita. A Sibari giunsero gli impianti termali prima dell’arrivo dei Romani; lo stesso Ippodamo da Mileto ne pianificò la ricostruzione: si tratta di testimonianze di un grandioso passato valorizzato soprattutto grazie all’interesse delle scuole, come nel caso del liceo cittanovese, che, in una splendida giornata di primavera, in cui il sole inondava prati colorati da meravigliosi fiori, non si è limitato a riscoprire solamente il passato del mondo classico calabrese, ma ha saputo valorizzare anche la storia contemporanea, ricordando l’importanza della memoria di ogni avvenimento. Questo grazie a una visita presso il campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, di cui si è conservata solamente la parte amministrativa, benché la vita all’interno del campo riviva attraverso la ricostruzione delle baracche e dei giacigli e, soprattutto, grazie alla documentazione di una mostra fotografica permanente. A Ferramonti, come sottolinea la guida, nonostante non ci fosse la libertà, i prigionieri ebbero condizioni di vita di gran lunga migliori che in altri campi di concentramento: non veniva negata la libertà di culto ed erano loro concesse l’istruzione, l’attività sportiva e la possibilità di riunirsi in quello che viene definito il luogo dove è nata la democrazia, un piccolo parlamento in cui ogni baracca aveva un proprio rappresentante. Per molti Ferramonti rappresentò la salvezza: chi vi operava, come Padre Callisto Lopinò, salvò centinaia di vite umane.
Prima di allontanarsi dalla Piana di Sibari, avvicinandosi a quella di Gioia Tauro, un ultimo sguardo ai verdi paesaggi chiusi, protetti, custoditi dai monti del Pollino e della Sila, con la mente rivolta al mare incontrato nei pressi dell’antica Sibari, quello stesso mare percorso dai colonizzatori greci prima di giungere sulle nostre coste: probabilmente anche loro rimasero abbagliati da questi paesaggi, se ne innamorarono prima ancora di stabilirsi stabilmente, lasciandoci in eredità questo grandissimo patrimonio culturale, che comunque continua a non essere valorizzare come e quanto dovrebbe: basti pensare che gli scavi archeologici riguardano una minima percentuale di quella che era l’antica città e sono concentrati in particolare nell’area della romana  Copia. E quel fiume Crati, simbolo della prosperità di Sibari, ma anche mezzo della sua distruzione, ancora danneggia l’antica polis greca: gli scavi archeologici continuano a non essere fruibili, a più di due anni di distanza dall’ultima esondazione.


Nicoletta Anastasia Deni

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