Nel 510 a. C., presso il fiume Trionto, vicino Rossano, si
consumò uno tra i più celebri scontri tra le colonie greche in Calabria, quello
tra Σύβαρις e Κρότων, nonostante le due poleis fossero precedentemente state
alleate. Per i Crotoniati non fu sufficiente la semplice
vittoria: vollero che la ricca Sibari sparisse e ciò avvenne grazie a uno dei
più insigni abitanti di Crotone, Pitagora, che arrivò a deviare il corso del
fiume Crati sulla fiorente polis greca. Probabilmente i vincitori di allora non
immaginavano le successive ricostruzioni di Thurii e di Copia sullo stesso
luogo in cui sorgeva Sibari, seppur con dimensioni di gran lunga ridotte; ma,
soprattutto, essi non avrebbero mai potuto pensare che lo splendore per il
quale la loro avversaria era passata alla storia sarebbe tornato alla luce dopo
migliaia di anni…
Così, dopo più di 2500 anni dallo storico scontro, un gruppo
di studenti del liceo classico “Vincenzo Gerace” di Cittanova ha potuto godere
della vista di ciò che i Crotoniati credevano di aver distrutto, ovvero di
quell’antico splendore che oggi riverbera nelle moderne sale del Museo
Archeologico della Sibaritide. Ad accompagnare alunni e docenti, le guide del
Gruppo Archeologico del Pollino, in un percorso indietro nella storia, a
partire dai reperti antecedenti l’arrivo dei colonizzatori ellenici. Le prime
teche sono infatti dedicate agli Enotri, eccellenti produttori di vino, le cui
testimonianze sono giunte fino a noi grazie ai manufatti rinvenuti nelle
sepolture. Essi raccontano di un alto grado di civilizzazione: ne sono esempio
le fibbie raffiguranti una coppia composta da un uomo e una donna di pari
altezza, indice dell’uguale importanza attribuita dagli Enotri ai due sessi. Un
Passato che continua a insegnare…
Quale donna avrà indossato la fibbia e la collana d’ambra
rinvenuta assieme ad essa? A quale importante comandante apparteneva quella
spada, custodita in una delle sale? Era forse una sacerdotessa la donna sepolta
assieme a un ricco corredo di pendenti e vistosi bracciali rinvenuti
nell’odierna Francavilla? Ciascuno degli oggetti custoditi in un museo racconta
una vita diversa, cui spesso la storia ha tristemente posto fine… E’ questo il
caso della tomba di una bambina: sepolte accanto a lei sono state rinvenute la
piccola statua di una divinità femminile e uno scarabeo, quasi dei portafortuna
nella speranza che la sua vita continuasse.
Ma la cultura degli Enotri fu presto assimilata da quella dei
Greci, che godettero della prosperità di una pianura situata tra due fiumi, a
cui alluderebbe lo stesso simbolo di Sibari, un toro con la testa volta
indietro, come se, trovandosi di fronte a un fiume, si voltasse per scorgere
l’altro.
Le ceramiche corinzie e attiche; i vasi a figure rosse su
sfondo nero completamente intatti, belli come se fossero appena usciti dalle
mani di un artigiano; le monete e le offerte votive; gli oggetti in bronzo e in
vetro; le sculture di età romana che adornavano il teatro: dagli oggetti della
quotidianità, dalle spiegazioni degli archeologi l’illustre città sembra
riprendere vita. A Sibari giunsero gli impianti termali prima dell’arrivo dei
Romani; lo stesso Ippodamo da Mileto ne pianificò la ricostruzione: si tratta
di testimonianze di un grandioso passato valorizzato soprattutto grazie
all’interesse delle scuole, come nel caso del liceo cittanovese, che, in una
splendida giornata di primavera, in cui il sole inondava prati colorati da
meravigliosi fiori, non si è limitato a riscoprire solamente il passato del
mondo classico calabrese, ma ha saputo valorizzare anche la storia
contemporanea, ricordando l’importanza della memoria di ogni avvenimento.
Questo grazie a una visita presso il campo di internamento di Ferramonti di
Tarsia, di cui si è conservata solamente la parte amministrativa, benché la
vita all’interno del campo riviva attraverso la ricostruzione delle baracche e
dei giacigli e, soprattutto, grazie alla documentazione di una mostra
fotografica permanente. A Ferramonti, come sottolinea la guida, nonostante non
ci fosse la libertà, i prigionieri ebbero condizioni di vita di gran lunga
migliori che in altri campi di concentramento: non veniva negata la libertà di
culto ed erano loro concesse l’istruzione, l’attività sportiva e la possibilità
di riunirsi in quello che viene definito il
luogo dove è nata la democrazia, un piccolo parlamento in cui ogni baracca aveva un proprio rappresentante. Per
molti Ferramonti rappresentò la salvezza: chi vi operava, come Padre Callisto
Lopinò, salvò centinaia di vite umane.
Prima di allontanarsi dalla Piana di Sibari, avvicinandosi a
quella di Gioia Tauro, un ultimo sguardo ai verdi paesaggi chiusi, protetti,
custoditi dai monti del Pollino e della Sila, con la mente rivolta al mare
incontrato nei pressi dell’antica Sibari, quello stesso mare percorso dai
colonizzatori greci prima di giungere sulle nostre coste: probabilmente anche
loro rimasero abbagliati da questi paesaggi, se ne innamorarono prima ancora di
stabilirsi stabilmente, lasciandoci in eredità questo grandissimo patrimonio
culturale, che comunque continua a non essere valorizzare come e quanto
dovrebbe: basti pensare che gli scavi archeologici riguardano una minima
percentuale di quella che era l’antica città e sono concentrati in particolare
nell’area della romana Copia. E quel fiume
Crati, simbolo della prosperità di Sibari, ma anche mezzo della sua
distruzione, ancora danneggia l’antica polis greca: gli scavi archeologici
continuano a non essere fruibili, a più di due anni di distanza dall’ultima
esondazione.
Nicoletta Anastasia Deni
0 commenti:
Posta un commento