“La
scuola non è un cinema, non si può partecipare a tutti gli eventi culturali
tralasciando la didattica”.
Questa frase, nell’ultima settimana, l’ho sentita spesso. L’ho sentita quando qualcuno commentava il fatto che ai numerosi eventi culturali ai quali la nostra scuola ha partecipato, si siano aggiunti una serie di incontri al Cinema.
Ho fatto finta di non sentire questa frase, ho lasciato che volasse nell’aria e non fosse raccolta da nessuno, sperando che non ci fosse qualcuno convinto fino in fondo da questa affermazione, nemmeno tra coloro che l’hanno pensata e detta.
Oggi, 11 febbraio 2016, sono da appena un’ora uscita dal Cinema Gentile di Cittanova, che insieme a Reggio Cinema e SabbiaRossa Edizioni ha organizzato tre matinée: uno a Cittanova, uno a Reggio Calabria e uno a Cosenza, e due incontri pomeridiani a Vibo Valentia e Scilla con la proiezione del film “Lea” di Marco Tullio Giordana, e a seguire un dibattito con quest’ultimo e con l’attore Alessio Praticò.
Quello che mi è rimasto è indignazione, rabbia e un sentimento che nasce da questi ultimi due: speranza. I primi in totale contrasto con l’ultimo, ma è proprio questo il punto: se non individuassimo il male e non comprendessimo ciò che esso procura, non potremmo prendere la decisione di “parteggiare”, e se non parteggiassimo non potremmo concimare il bene. Ed ecco che ho usato due delle parole chiave di questa mattinata: “parte” e “concime”. L’indifferenza ci renderebbe solo complici della mafia e della mentalità mafiosa fin troppo radicata nel nostro territorio. Come ha detto Michele Albanese, anche lui presente oggi, “Non dovete essere spettatori del vostro presente”. Perciò focalizzare la “parte della ragione” e parteggiare con essa è il primo passo per concimare il futuro, un futuro diverso dal presente che viviamo.
Lea è un film che racconta la storia di Lea Garofalo, una combattente della ‘ndrangheta, che per donare una vita dignitosa alla figlia ha sfidato tutti, compresi gli uomini della sua famiglia così procurando loro disonore e secondo le “regole” della mafia un disonore del genere deve essere punito. Ed è una storia che ci può riportare col pensiero a I Cento passi, film anche di Marco Tullio Giordana, che racconta la storia di Peppino Impastato, cresciuto con un padre mafioso, e destinato alla stessa vita di quest’ultimo e invece lui si ribella alla “montagna di merda” che è la mafia.
Alla fine del film oggi ho trovato il mio volto rigato da lacrime amare, come anche ogni 9 maggio, (giorno in cui nel 1978 Peppino Impastato fu assassinato) da quando lo scoprii, guardo I Cento Passi.
E nelle mie lacrime mi sento insignificante perché mentre io piango per la loro fine su una poltrona di un cinema o comodamente sdraiata su un divano, loro hanno combattuto la mafia, loro hanno avuto il coraggio di ribellarsi ad un sistema che ci corrode anche inconsapevolmente, e hanno avuto il coraggio più importante di tutti, un coraggio che non è limitato a una ribellione alla quale consegue la paura che qualcuno ti faccia del male, ma è il coraggio di ribellarsi e voltare le spalle a qualcuno che ami, alla tua famiglia, per la seta di giustizia e di pace, e per me questo è un coraggio che può essere ricavato solo dalla vittoria di battaglie combattute con se stessi, che sono molto più dure da vincere.
E ora mi trovo qui, e mi ritorna in mente la frase “Ma la scuola non è un cinema, bisogna anche studiare, non solo partecipare agli eventi.” e penso alla letteratura, all’arte che istruiscono la nostra mente alla bellezza cercando di portarci ad una concezione più elevata e meno superficiale della vita, e alla matematica e alla fisica che ci danno insegnamenti utili e pratici per la quotidianità, ma ecco che nella mia testa compare Lea che tiene in braccio sua figlia per non farle vedere la malvagità da cui è circondata, ed ecco che osservo Peppino quando scrive una poesia e lo sento mentre parla a Radio Aut di “Mafiopoli” e “Tano Seduto”, e disarmata mi chiedo se esiste davvero qualcosa che possa renderci persone migliori più della resistenza alla dimenticanza che fa sì che queste vite ribelli non cadano nell'oblio del tempo?
Questa frase, nell’ultima settimana, l’ho sentita spesso. L’ho sentita quando qualcuno commentava il fatto che ai numerosi eventi culturali ai quali la nostra scuola ha partecipato, si siano aggiunti una serie di incontri al Cinema.
Ho fatto finta di non sentire questa frase, ho lasciato che volasse nell’aria e non fosse raccolta da nessuno, sperando che non ci fosse qualcuno convinto fino in fondo da questa affermazione, nemmeno tra coloro che l’hanno pensata e detta.
Oggi, 11 febbraio 2016, sono da appena un’ora uscita dal Cinema Gentile di Cittanova, che insieme a Reggio Cinema e SabbiaRossa Edizioni ha organizzato tre matinée: uno a Cittanova, uno a Reggio Calabria e uno a Cosenza, e due incontri pomeridiani a Vibo Valentia e Scilla con la proiezione del film “Lea” di Marco Tullio Giordana, e a seguire un dibattito con quest’ultimo e con l’attore Alessio Praticò.
Quello che mi è rimasto è indignazione, rabbia e un sentimento che nasce da questi ultimi due: speranza. I primi in totale contrasto con l’ultimo, ma è proprio questo il punto: se non individuassimo il male e non comprendessimo ciò che esso procura, non potremmo prendere la decisione di “parteggiare”, e se non parteggiassimo non potremmo concimare il bene. Ed ecco che ho usato due delle parole chiave di questa mattinata: “parte” e “concime”. L’indifferenza ci renderebbe solo complici della mafia e della mentalità mafiosa fin troppo radicata nel nostro territorio. Come ha detto Michele Albanese, anche lui presente oggi, “Non dovete essere spettatori del vostro presente”. Perciò focalizzare la “parte della ragione” e parteggiare con essa è il primo passo per concimare il futuro, un futuro diverso dal presente che viviamo.
Lea è un film che racconta la storia di Lea Garofalo, una combattente della ‘ndrangheta, che per donare una vita dignitosa alla figlia ha sfidato tutti, compresi gli uomini della sua famiglia così procurando loro disonore e secondo le “regole” della mafia un disonore del genere deve essere punito. Ed è una storia che ci può riportare col pensiero a I Cento passi, film anche di Marco Tullio Giordana, che racconta la storia di Peppino Impastato, cresciuto con un padre mafioso, e destinato alla stessa vita di quest’ultimo e invece lui si ribella alla “montagna di merda” che è la mafia.
Alla fine del film oggi ho trovato il mio volto rigato da lacrime amare, come anche ogni 9 maggio, (giorno in cui nel 1978 Peppino Impastato fu assassinato) da quando lo scoprii, guardo I Cento Passi.
E nelle mie lacrime mi sento insignificante perché mentre io piango per la loro fine su una poltrona di un cinema o comodamente sdraiata su un divano, loro hanno combattuto la mafia, loro hanno avuto il coraggio di ribellarsi ad un sistema che ci corrode anche inconsapevolmente, e hanno avuto il coraggio più importante di tutti, un coraggio che non è limitato a una ribellione alla quale consegue la paura che qualcuno ti faccia del male, ma è il coraggio di ribellarsi e voltare le spalle a qualcuno che ami, alla tua famiglia, per la seta di giustizia e di pace, e per me questo è un coraggio che può essere ricavato solo dalla vittoria di battaglie combattute con se stessi, che sono molto più dure da vincere.
E ora mi trovo qui, e mi ritorna in mente la frase “Ma la scuola non è un cinema, bisogna anche studiare, non solo partecipare agli eventi.” e penso alla letteratura, all’arte che istruiscono la nostra mente alla bellezza cercando di portarci ad una concezione più elevata e meno superficiale della vita, e alla matematica e alla fisica che ci danno insegnamenti utili e pratici per la quotidianità, ma ecco che nella mia testa compare Lea che tiene in braccio sua figlia per non farle vedere la malvagità da cui è circondata, ed ecco che osservo Peppino quando scrive una poesia e lo sento mentre parla a Radio Aut di “Mafiopoli” e “Tano Seduto”, e disarmata mi chiedo se esiste davvero qualcosa che possa renderci persone migliori più della resistenza alla dimenticanza che fa sì che queste vite ribelli non cadano nell'oblio del tempo?
Alessandra
Cananzi
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